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Lo stato del mondo: un’intelaiatura

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L’evoluzione della geopolitica è ciclica. Le potenze emergono, decadono e mutano. I cambiamenti avvengono durante ogni generazione, in una sorta di balletto senza fine. Tuttavia, il periodo tra il 1989 e il 1991 è stato unico, poiché un lungo ciclo di storia umana che ha contraddistinto centinaia di anni è finito, e con esso è giunto al termine anche un ciclo più breve. Nel mondo stanno ancora riecheggiando gli eventi di quel periodo.

Il 25 dicembre 1991 è terminata un’epoca. Quel giorno l’Unione Sovietica è crollata, e per la prima volta in quasi 500 anni nessuna potenza europea si trovava ad essere una potenza globale, il che significa che nessuno Stato europeo univa potere economico, militare e politico su scala globale. Quello che era iniziato nel 1492, con l’Europa che imponeva il suo volere nel mondo creando un sistema globale imperiale, era finito. Per cinque secoli, una potenza europea dopo l’altra aveva dominato il mondo, fosse essa il Portogallo, la Spagna, la Francia, la Gran Bretagna o l’Unione Sovietica. Anche le potenze europee minori hanno avuto a quel tempo un certo grado d’influenza globale.

Dopo il 1991 l’unica potenza globale rimasta erano gli Stati Uniti d’America, i quali producevano circa il 25% del prodotto interno lordo mondiale (PIL) e dominavano gli oceani. Mai prima di allora gli USA erano stati la potenza globale dominante. Prima della Seconda Guerra Mondiale, il potere statunitense era cresciuto nella sua sfera d’influenza ai margini del sistema internazionale, ma stava comunque emergendo in un contesto multipolare. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si è ritrovato in un mondo bipolare, fronteggiando l’Unione Sovietica in un confronto nel quale la vittoria statunitense non era certo una conclusione scontata.

Gli USA sono stati la potenza globale incontrastata per vent’anni, ma la loro ascesa è stata per la maggior parte di questo tempo sbilanciata e lo squilibrio ha rappresentato la fondamentale caratteristica del sistema globale durante la generazione passata. Impreparati a livello istituzionale o psicologico a questa loro posizione, gli Stati Uniti sono oscillati dall’eccessivo ottimismo negli anni ’90, in cui si credeva che era terminata qualsiasi conflittualità significativa, alle guerre contro l’Islam militante dopo l’11 settembre; conflitti che gli Stati Uniti non potevano evitare ma che non potevano neanche integrare in una strategia globale multilivello. Quando l’unica potenza globale diventa ossessionata da una singola regione, l’intero mondo risulta sbilanciato. Lo squilibrio è ancora la caratteristica distintiva del sistema globale di oggi.

Il collasso dell’Unione Sovietica ha posto termine all’epoca europea, ma ha rappresentato anche la fine dell’era che iniziò nel 1945 e che fu contraddistinta da una serie di eventi che tendono ad accompagnare i mutamenti generazionali. Il periodo 1989-1991 segnò la fine del miracolo economico giapponese, la prima in cui il mondo fosse rimasto meravigliato dal tasso di crescita di una potenza asiatica nel momento in cui il sistema finanziario della medesimapotenza si sbriciolava. La fine del miracolo giapponese e il problema economico rappresentato dall’integrazione tra le due Germanie cambiarono entrambi il modo in cui l’economia globale aveva funzionato fino ad allora. Il Trattato di Maastricht del 1991 preparò il terreno per il tentativo d’integrazione europea, ed ha rappresentato il punto di riferimento dell’Europa nel mondo post-guerra fredda. Piazza Tiananmen preparò le basi della Cina per i successivi vent’anni e fu la risposta cinese al disfacimento dell’impero sovietico. Creò una struttura che permise lo sviluppo economico, assicurando nel contempo il dominio del Partito Comunista. L’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein fu progettata per cambiare gli equilibri di potere nel Golfo Persico dopo la guerra tra Iraq e Iran, e testò la disponibilità statunitense d’affrontare un conflitto dopo la Guerra Fredda.

Nel 1989-1991 il mondo cambiò il modo in cui funzionava. E’ stato un periodo straordinario il cui significato sta emergendo solo ora. Ha stabilito un cambio della guardia a lungo termine, dove il Nord America ha rimpiazzato l’Europa come centro del sistema internazionale. Ma le generazioni vanno e vengono, e ci troviamo ora nel bel mezzo del primo mutamento generazionale dal collasso delle potenze europee, un cambiamento che ha avuto inizio nel 2008 ma che solo ora mostra le sue conseguenze. Quello che è successo nel 2008 è stato uno dei panici finanziari che il sistema capitalista globale soffre periodicamente. Come spesso accade, questi allarmi generano inizialmente crisi politiche all’interno delle nazioni, seguite da cambiamenti nelle relazioni tra gli Stati. Di questi cambiamenti, tre sono di particolare importanza, due dei quali sono direttamente collegati alla crisi del 2008. Il primo è rappresentato dalla crisi finanziaria europea e dalla sua trasformazione in una crisi politica. Il secondo riguarda la crisi delle esportazioni cinesi e le sue conseguenze. Il terzo, indirettamente collegato al 2008, è il mutamento dell’equilibrio di forze in Medio Oriente a favore dell’Iràn.

La crisi europea

La crisi europea rappresenta il singolo più importante evento conseguenza del crollo finanziario del 2008. La visione dell’Unione Europea era quella di un’istituzione che avrebbe legato Francia e Germania assieme, rendendo impossibili le guerre infuriate in Europa dal 1871. Questa concezione prevedeva, inoltre, che un’intregrazione economica avrebbe permesso un’unificazione di Francia e Germania e creato le fondamenta di una prospera Europa. Nel modo in cui si è evoluto il sistema di Maastricht, la visione europea presupponeva che l’UE avrebbe rappresentato un modo per democratizzare e integrare gli ex paesi comunisti dell’Europa Orientale in un’unica struttura.

Tuttavia, insito nell’idea dell’UE vi era il principio che l’Europa potesse a un certo punto trascendere il nazionalismo ed emergere sotto forma di Stati Uniti d’Europa, un singola federazione politica con una costituzione e una politica estera e interna comuni. Questo principio avrebbe cominciato a realizzarsi da una zona di libero mercato per giungere fino a un sistema economico unificato, a una singola valuta e successivamente a un’integrazione politica costruita attorno al Parlamento Europeo, permettendo all’Europa di emergere come un singolo paese.

Molto prima che ciò accadesse, naturalmente, la gente ha iniziato a parlare di Europa come se fosse un’unica entità. A prescindere dalla modestia delle proposte formali, vi era una potente visione di comunità politica europea integrata. Vi erano due fondamenti alla base di essa. Il primo erano gli apparenti benefici economici e sociali rappresentati da un’Europa unita. L’altro era l’opinione che solo così l’Europa potesse far sentire la propria influenza nel sistema internazionale. Individualmente, gli Stati europei non erano attori globali, ma collettivamente avevano la capacità di diventarlo. Nel mondo post-Guerra Fredda, dove gli Stati Uniti erano la sola e incontrastata forza globale, era un’opportunità interessante. Tale progetto è stato distrutto dopo il 2008, quando si è rivelata la fondamentale instabilità dell’esperimento europeo. Questa visione era costruita attorno alla Germania, il secondo maggiore esportatore al mondo, ma la periferia dell’Europa è rimasta ancora troppo debole per superare la crisi. La cusa non risiede tanto in questa particolare crisi; l’Europa così costruita non era in grado di resistere ad alcuna crisi finanziaria. Presto o tardi una ne sarebbe arrivata e l’unità dell’Europa sarebbe stata messa a dura prova perché ciascuna nazione, guidata da realtà socio-economiche differenti, si sarebbe mossa secondo i propri interessi, e non secondo quelli dell’Europa. Non c’è dubbio che l’Europa del 2012 opera in una maniera molto diversa da quella del 2007. Secondo alcuni l’Europa, a tempo debito, ritornerà alla sua vecchia situazione post-Guerra Fredda, ma questo è improbabile. Le basilari contraddizioni della costruzione europea si sono manifestate, e mentre alcune entità europee forse sopravviveranno, probabilmente non si riproporrà più l’Europa prevista da Maastricht, per non parlare delle grandi visioni come quella degli Stati Uniti d’Europa. Quello che avrebbe potuto essere il solo contrappeso agli USA in questa generazione, non è destinato ad emergere.

La Cina e il modello asiatico

La Cina è stata analogamente colpita dalla crisi del 2008. Oltre alla natura inevitabilmente ciclica di tutte le economie, il modello asiatico, come visto in Giappone e successivamente nel 1997 in Asia Orientale e Sudorientale, prevede una prolungata crescita seguita da una profonda dislocazione finanziaria. Infatti, tassi di crescita non significano salute economica. Proprio com’è successo per l’Europa, la crisi finanziaria del 2008 ha comportato delle conseguenze per la Cina.

Il problema principale della Cina è che oltre un miliardo di persone vivono in famiglie che guadagnano meno di 6 dollari al giorno, e la maggioranza di queste guadagnano meno di 3 dollari al giorno. Tensioni sociali a parte, la conseguenza economica è che la produzione del grande sistema industriale cinese supera la domanda dei consumatori cinesi. Come risultato, la Cina deve esportare. Tuttavia, la recessione dopo il 2008 ha provocato un taglio pesante delle esportazioni cinesi, con gravi ripercussioni per la crescita del PIL e minacce alla stabilità del sistema politico. La Cina ha affrontato il problema con un massiccio aumento di prestiti bancari, guidando nuovi investimenti e sostenendo la crescita del PIL, ma anche alimentando l’inflazione galoppante. L’inflazione ha creato delle pressioni al rialzo del costo del lavoro, finché la Cina ha cominciato a perdere il suo maggior vantaggio competitivo sugli altri paesi.

Per una generazione, la crescita cinese è stata il motore del sistema globale economico, così come lo era quella giapponese nella generazione precedente. La Cina non sta crollando, non più di quanto lo fece il Giappone. Tuttavia, sta cambiando il suo comportamento, e con esso il comportamento del sistema internazionale.

Guardando avanti

Se guardiamo al sistema internazionale avendo come punto di riferimento tre grandi motori economici, notiamo che due di questi (Europa e Cina) stanno modificando il loro funzionamento in modo da essere meno assertivi e influenti nel sistema internazionale. Gli eventi del 2008 non hanno creato questi cambiamenti; hanno solamente stimolato dei processi che hanno rivelato le latenti debolezze di queste due entità.

In qualche modo al di fuori dei principali processi del sistema internazionale, il Medio Oriente sta attraversando un cambiamento fondamentale nel proprio equilibrio di potenza. L’elemento conduttore in tutto ciò non è la crisi del 2008 ma le conseguenze derivate dalla fine della presenza degli Stati Uniti nella regione. Con il ritiro statunitense dall’Iraq, l’Iràn è emerso come la maggiore potenza convenzionale nel Golfo Persico e come l’attore con più influenza sull’Iraq. Inoltre, qualora il regime di al Assad in Siria dovesse riuscire a sopravvivere grazie il supporto dell’Iràn, esiste la possibilità che l’influenza iraniana s’allarghi dall’Afghanistan occidentale al Mar Mediterraneo. Anche se il regime di al Assad cadesse, l’Iràn sarebbe comunque ben posizionato per far valere la propria rivendicazione del primato nel Golfo Persico.

Proprio come i processi scatenati tra il 1989 e il 1991 hanno definito i successivi vent’anni, allo stesso modo i processi che sono stati generati in questa fase domineranno le generazioni future. Ancora potenti ma fortemente sbilanciati nella propria politica interna ed estera, gli USA si stanno confrontando con un mondo in mutamento senza avere ancora una chiara comprensione di come trattare con esso e di come i cambiamenti nel sistema globale li influenzeranno. Per gli Stati Uniti, a livello strategico, la frammentazione dell’Europa, la trasformazione della produzione globale sulla scia dell’acme dell’economia cinese, e il drammatico aumento di potere dell’Iràn appaiono eventi astratti che non li riguardano direttamente.

Ciascuno di questi eventi creerà pericoli e opportunità per gli Stati Uniti, i quali sono impreparati a gestirli. La frammentazione dell’Europa solleva la questione del futuro della Germania e della sua relazione con la Russia. Lo spostamento della produzione verso paesi con bassi salari creerà un boom economico in paesi finora considerati oltremodo bisognosi d’aiuto (come lo era la Cina nel 1980) e in zone di potenziale instabilità contraddistinte da una crescita rapida e irregolare. E, naturalmente, l’idea che la questione iraniana possa essere gestita attraverso le sanzioni è una forma di negazione, più che una strategia.

Tre grandi aree del mondo sono in continuo mutamento: Europa, Cina e Golfo Persico. Ogni paese nel mondo dovrà escogitare una strategia in modo tale da affrontare la nuova realtà, allo stesso modo in cui il 1989-1991 aveva richiesto nuove strategie. Il paese più importante, gli Stati Uniti, non avevano strategie dopo il 1991 e non hanno strategie oggi. Questa è la singola più importante realtà del mondo. Come gli Spagnoli, i quali nella generazione dopo il viaggio di Colombo non ebbero un chiaro senso della realtà che avevano creato, gli Statunitensi non hanno un’idea chiara del mondo in cui si trovano. Questo fatto continua a delineare il funzionamento del mondo.

Pertanto, è necessario soffermarsi sulla strategia statunitense dei prossimi vent’anni e considerare come si dovrà rimodellare.

(Traduzione di Francesco Brunello Zanitti)


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